QUELLA DOMENICA DEL GIUGNO 1949 +++ VARESE E CASALE: IL GEMELLAGGIO DEL DOLORE

QUELLA DOMENICA DEL GIUGNO 1949
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VARESE E CASALE: IL GEMELLAGGIO DEL DOLORE
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Nella tragedia di Superga del 4 maggio con il grande Torino erano caduti anche Franco OSSOLA , pupillo di Varese, e il Casalese Piero OPERTO – e le due città si unirono quel giorno nel dolore
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La trasferta dei nero stellati a Varese, mi riporta alla mente quel giorno d’inizio estate del 1949.
Io non avevo ancora nove anni frequentavo la terza elementare ( “bisogna studiare molto- ci predicava il Maestro Cattaneo perché quest’anno c’è l’esame “; era il primo esame ; allora non sapevo che gli esami, nella vita , non finiscono mai) e tutte le domeniche , stretto alla mano del papà, (e spesso anche il giovedì quando c’era l’incontro d’allenamento titolari - riserve , a portieri invertiti) ero un abituè del Natal Palli.
Qualche volta, quando veniva organizzato un treno speciale come a Vercelli o Mortara o Pavia, (anche se, per la trasferta di Vercelli, se era di primavera, il viaggio lo facevo sulla canna della bicicletta del papà) pure in trasferta.
Ma quel giorno per Varese ( una domenica per me triste perché si concludeva il giro d’Italia vinto da Coppi sul mio idolo Gino Bartali con oltre venti minuti di vantaggio) non c’erano treni speciali
Era quella di Varese una partita del tutto eccezionale perché andava a formarsi una specie di gemellaggio. Un gemellaggio che nasceva da una tragedia e da un lutto freschissimo e che accumunava le due città.
Tutto era cominciato, anzi finito, quel pomeriggio piovoso del 4 maggio.
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Piovigginava, il pomeriggio del 4 maggio 1949; pioveva e faceva freddo come non di rado capita a maggio e si dice sempre che una volta non succedeva .
Era per noi ragazzini delle elementari il mercoledì buono perché finiva il turno del mattino (allora in una stessa aula si alternavano due scolaresche) ed iniziava , il giorno dopo, quello del pomeriggio; questo significava che saremmo tornati a scuola solo il pomeriggio del giorno successivo: due mezze giornate di riposo, una –si fa per dire- per i compiti, l’altra per giocare...una pacchia che si rinnovava ogni quindici giorni (ma ogni quindici giorni c’era pure il rovescio della medaglia: si usciva da scuola la sera del mercoledì e si riandava il mattino del giovedì...).
Dai camini si alzava verso il cielo cupo il fumo esile e trasparente dei tamburnin alimentati con la corteccia, le ‘ciapele’, di pioppo che la segheria di Cavalli forniva gratis agli abitanti del Ronzone.
Quel pomeriggio, per via della pioggia, non andammo nel campo di medica sotto alla Giordana o fra i pioppi sul greto del Po per disputare una delle nostre interminabili partite nelle quali non ci chiamavamo, chiedendo il passaggio, Gianni , Luigi , Antonio..., ma Bacigalupo, Menti, Mazzola , Castigliano , Loik...
Ci infilammo, subito dopo il catechismo, nell’androne del palazzo dell’Australiano, dove un corridoio lungo e largo ci consentiva di giocare a castlet.; si tiravano figurine verso il muro; vinceva tutto
chi riusciva a far posare una figurina su un’altra in maniera che quella sotto non potesse essere tolta senza muovere la sovrastante. Erano immagini di calciatori; al cambio un ‘Mazzola’ valeva cinquanta Boniperti, ma nessuno per niente al mondo, nemmeno il tifoso juventino più incallito, avrebbe rinunciato alla figurina del capitano granata, rara e preziosa come un “feroce Saladino”.
Alle cinque e mezza del pomeriggio la notizia -Il Torino è caduto, non c’è più- corse come un fulmine e nessuno seppe mai se la figurina che avevo appena lanciato avesse fatto castlet... Quel pomeriggio, le figurine restarono sparse a terra e nessuno le raccolse. Io camminavo mogio nella pioggia: non sarei più stato- mai più- nelle nostre interminabili partite sui campi di erba medica o sul greto del Po, Bacigalupo, Valerio Bacigalupo nato a Vado Ligure, Savona, il 12 marzo 1924…
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Al Natal Palli di Casale- il glorioso stadio di tante battaglie nerostellate - il Bertu Mazzucco , il vecchio coriaceo terzino che a sedici anni- in un memorabile scontro con l’Ambrosiana di Milano - aveva annullato il “Balilla” Pepin Meazza, dirigeva l’allenamento; il terreno era ridotto a risaia…
Qualcuno si avvicinò, a bordo campo, al segretario fac-totum Pierino Dusio; gli disse qualcosa in un orecchio; Dusio allargò le braccia, poi scosse il capo, poi si tolse la lobbia e la scaraventò nel fango: “ Mondo porco…-urlò – mondo porco…”.
Quindi si avvicinò a Mazzucco, parlottarono un istante- Mazzucco lasciò cadere a terra il fischietto , sputò da una parte e urlò un nome- ed insieme presero a braccetto Operto I (Giovanni), la piccola ala destra dei nerostellati che all’urlo si era avvicinato. Fino a qualche mese prima gli Operto nel Casale erano due; poi il fratello più giovane, Operto II (Piero) ,era stato adocchiato da Ferruccio Novo il presidente del Torino.
“Con i sei milioni di questa vendita- raccontava Dusio - il Casale si è raddrizzata una costola, anzi tutto l’apparato scheletrico…”.
Appena incassato il primo stipendio dal Torino, -sessantamila lire al mese- Operto II si comprò un ‘principe di galles’.
“ Sembri un duca…” gli disse Dusio quando lo vide.
“Upertin- disse Dusio con gli occhi piantati nel fango- Upertin…il mondo è una …”
“…Vacca schifa…-aggiunse passandosi una mano sul collo e scalciando violentemente il fango-…vacca schifa…”
Ed ad Operto che lo guardava con occhi sorpresi , rispose battendogli la mano sulla spalla; anche Mazzucco gli batté una mano sulla spalla con gli occhi fissi a terra.
“ E’ caduto il Toro, Upertin, …fatti coraggio Upertin…”.
La domenica dopo, contro il Monza, il Casale scese in campo in maglia bianca per poter portare , in maniera visibile, il lutto al braccio. 
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Casale aveva perso , nello schianto di Superga, Piero OPERTO,22 anni ; il Varese il suo mito , a cui intitolerà in seguito lo stadio comunale, Franco OSSOLA, 25 anni. Era questo che “gemellava” moralmente le due città e rendeva importante quella partita, al di là dei risvolti sportivi e di classifica.
Mio padre ed altri del Rotondino (come moltissimi di tutta Casale) disse che a Varese ci dovevamo andare.
Ma come?
Il Renato Bagian trovò un amico, un certo Germano ,detto “Lenza”, di Mede Lomellina, pescatore accanito e commerciante ambulante di “ genere ittico”, che quella domenica faceva mercato in un paesino alle porte di Varese.
Mio padre e due amici , si sistemarono nella cabina accanto al Lenza; Io e il mio amico Mauro fummo stipati nel furgone coperto, fra casse di saracche, merluzzi, carpe , lucci, e pesci vari; viaggiammo abbracciati per difenderci dal gelo generato dalle numerose stecche di ghiaccio sparse qua e là in tutto il cassone per conservare il pesce..
“Sembrano saracche anche loro…- commentò il Lenza quando a Varese davanti allo stadio ci scaricò, lividi e bluastri ed irrigiditi , dal cassone - per togliergli la puzza –aggiunse- saranno da lavare con l’acido solforico…”.
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Erano le dieci del mattino con le casse dello stadio già in funzione perché era in pieno svolgimento un torneo di lega giovanile e, sulla pista a curve rialzate che circondava il campo, un criterium ciclistico di velocità ; entrambe le manifestazioni erano dedicate alla memoria di Franco Ossola, .
Mio padre riuscì a farsi dare per me , un biglietto gratuito, “in quanto sotto il metro”. All’ingresso dellos tadio l’uomo addetto al controllo dei biglietti mi scrutò, sorrise sotto i baffi…mi battè una mano sulla spalla e poi, rivolgendosi a mio padre, disse “E’ piccolo ma crescerà in fretta”.
Pranzammo sulle gradinate semivuote con due favolosi sanguis di mortadella; dal ragazzo / bar che passava fra il pubblico con la cassetta a tracolla gridando “gazzose caramelle”, mio padre comprò, lire dieci con il resto di quattro mentini , due gazzose. “Prendila e bevila adagio, è ghiacciata “ disse mio padre passandomi la bottiglietta frizzante. In quell’attimo mi sembrò che il sole splendesse solo per me: fu , quella gazzosa , la prima bibita della mia vita.
Io ero avvinto dalla corsa ciclistica, riservata ai dilettanti, con i concorrenti che si fermavano impalati sulla bicicletta –avrei appreso anni dopo che quella manovra si chiamava “surplace”- e poi partivano di scatto a velocità stratosferica. La gara fu vinta dal fresco campione alle Olimpiadi di Londra, che, se non rammento male, si chiamava Ghella.
Mentre lo premiavano, entrarono in campo le squadre.
A quei tempi, la due compagini affiancate con i rispettivi giocatori infila indiana trotterellavano fino a centro campo dove si allineavano, separati da arbitro e segnalinee, volgendosi prima alla tribuna e poi ai popolari; furono sommersi dagli applausi. Dagli spalti si alzò , come un incitamento possente e gonfio di dolore scandito assieme da casalesi e varesini : Ossola, Ossola, e poi Operto .Operto; e poi Toro, Toro.
I ventidue giocatori portavano al braccio una fascia nera in segno di lutto. Il Casale era in maglia bianca, rossa il Varese
I due presidenti, quello del Casale era il commendator Ferraris, si scambiarono saluti ed abbracci; i capitani i gagliardetti; i sindaci intervennero con poche intense parole . Sugli spalti , gli spettatori , casalesi e varesini mischiati, avevano le lacrime agli occhi. Su tutto gravava una emozione ed una commozione che, come avrebbero detto i nostri vecchi, “si potevano tagliare con il coltello”.
Vinse nettamente il Varese , ma non rammento il punteggio.
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Del resto per quella partita del dolore , se c’era una cosa che contava meno di nulla, era proprio il risultato.
GIANNI TURINO

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