IL MARCELIN

I Grandi Personaggi Casalesi
IL MARCELIN
+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++
E la casa di legno ( spogliatoio, magazzino, lavanderia, ecc).del vecchio Natal Palli dove non si invecchiava mai…
*********************************************************************
C’era una volta, al Natal Palli, la casa di legno. Era a ridosso del muretto che da su via Buozzi e serviva da spogliatoio, magazzino, baracca degli attrezzi.
Da lì partiva un corridoio in rete metallica super robusta che finiva nel campo di gioco. Questo corridoio serviva per proteggere i giocatori e la terna arbitrale quando entravano ed uscivano dal campo. 
Ma è servita- la casa di legno- anche da abitazione... perché c’era sempre, giorno e notte, il Marcellino, anzi il MARCELIN; per quarant’anni: dalla fine della prima guerra mondiale agli inizi degli anni ’50 quando fu ristrutturato il Natal Palli. 
+++
Il Marcelin si era sorbito la prima guerra mondiale, quarta dell'indipendenza nazionale, e delle notti all’addiaccio nelle trincee del Carso e dell’Adamello sotto i tiri dei franchi tiratori e delle granate austriache gli era rimasto un polmone, nel senso che l’altro era stato sacrificato, complice un po’ tutto a cominciare dai gas micidiali, alla patria (che non si sapeva bene cosa in realtà fosse anche perché quelli che la pronunciavano tutta maiuscola erano vestiti come damerini ed avevano più medaglie al collo del «bue grasso» il giorno della fiera; ma le trincee, le notti all’addiaccio, i gas e le granate ed il ta-pum del cannone ed il taratatà della mitraglia, e le febbri che ti facevano straparlare e morire di nostalgia e le feroci dissenterie, ed i digiuni, i vestiti laceri, le piaghe sul corpo, nemmeno sapevano immagi¬nare cosa fossero...).
Ricordava, il Marcelin, come nei brevi torpori della trincea tutto il pas¬sato gli scorresse nella mente ed anche i particolari più banali, ora che sembravano perduti per sempre, erano cose meravigliose; rivedeva la casa, la sua Maria, il figlioletto che trascinava i suoi primi passi ed il tepore di quella manina gli spaccava e gli curava il cuore.
Ricordava quel giorno del luglio del ‘14 quando, con il suo piccolo in braccio, aveva seguito il trionfo dei nerostellati contro la squadra in maglia azzurra che veniva da Roma, la Lazio, ed il Casale era diventato campione d’Italia...
Sembrava il trionfo della serenità invece la grande sciagura era alle porte.
Ne aveva viste di tutti i colori, il Marcelin, in guerra; ma pensava, ima volta tornato, che qualcuno gli battesse una mano sulla spalla e gli dicesse “bravo!” e che la patria, minuscola o maiuscola che fosse, attraverso i suoi uomini e le sue istituzioni, l’aiutasse, come modesta contropartita, a reinserirsi nella vita.
Invece si era trovato di fronte ad una realtà che quelli come lui, anziché onorarli, li accantonava e li avversava.
Fu il Casale a porgergli una mano.
Il vecchio campo era stato da poco abbandonato per uno più grande, appena sotto la collina di Sant’Anna (dov’è tutto’ora).
«Marcelin sei l’uomo giusto» gli dissero.
Cercavano un custode tutto fare e gli dettero alloggio nella casa di le¬gno, costruita a ridosso della strada che dà verso il canale (dove ora c'è un gerbido sotto al quale si intravede la terra rossa dei campi da tennis) - che serviva anche da magazzino e da spogliatoi.
Vi rimase, il Marcelin con la sua Maria e la sua famiglia per trentatre anni
In quella casa di legno, che la Maria teneva come un bon-bon e dal peren¬ne profumo dì bucato, sono passate generazioni e generazioni di ragazzi che poi, anche quando - come Caligaris - prendevano voli siderali ricordavano il Marcelin come un padre. Vi crebbe, in simbiosi con la maglia nerostellata che poi indossò come attaccante nella seconda metà degli anni Trenta, suo figlio Americo che seguì poi sempre, come innamorato, tifoso, dirigente il club casalese fino al giorno del 1982 quando, a sessantanove anni, fu stroncato dalla fibra di amianto...
Il Marcelin si occupava dì tutto; sradicava l’erba dalle parterre, curava la manutenzione delle strutture; l’erba del campo la rasava, all’inglese, servendosi unicamente della «ransa»; e se qualcuno moltiplica 115x65 (metri) può valutare con cognizione di causa... Quando le squadre entravano in campo il Marcelin andava a chiudere i cancelli e la rete metallica sì da formare un cor¬ridoio che proteggesse i giocatori dall’abbraccio (e l’arbitro dalle botte) del pubblico.
La vecchia «baracca» in legno, che è uno dei simboli della leggenda nerostellata, fu abbattuta a metà degli anni cinquanta quando fu rifatto il «Natal Palli».
Il Marcelin se ne è andato, novantaquattrenne, nel 1974 e fino all’ultimo ha ricordato, senza dimenticarne uno, tutti i calciatori che son passati da lui in quella casa di legno dove non si invecchiava mai perché lì eri sempre in mezzo ai giovani…
“Che bei tempi!...Marcelin...”
GIANNI TURINO

Commenti

Post popolari in questo blog

La storia del tifo organizzato a Casale