ULTRAS: quello che gli altri non dicono

Venerdì 21 novembre 2014, un tranquillo giorno di lezione a Palazzo Nuovo. Nell’aula 32, durante la lezione di Antropologia Culturale della Prof.ssa Laura Bonato è in programma un seminario su un argomento che raramente viene affrontato in contesto accademico. In cattedra c’è Vincenzo Abbatantuono, scrittore e studioso delle sottoculture giovanili che ci parlerà di quel movimento che negli ultimi anni viene fin troppo spesso demonizzato e gettato in pasto all’opinione pubblica: il movimento Ultras. Accanto a Vincenzo ci sono altri giovani ragazzi, tra cui io, che parleranno delle loro esperienze accumulate nei loro anni di militanza all’interno delle curve. Per quanto mi riguarda, ho voluto portare all’attenzione del vasto pubblico presente in aula la mia esperienza maturata durante la stesura della mia tesi di laurea il cui titolo è: “Ultras, la fine di un epoca, la fine di un movimento”. Focalizzo subito l’attenzione sul tema principale della lezione, ovvero l’inesorabile declino del movimento ultras italiano. Non spetta certo a me spiegare i motivi che hanno portato a questo declino, che comunque sono molteplici: si passa dall’aumento delle leggi repressive alle guerre fratricide che si sono consumate/si stanno consumando negli ultimi decenni.   Ciò che voglio far emergere, piuttosto, è come questo movimento riesca a mantenere intatti i suoi valori originali (o per lo meno ci prova) se si scende di categoria, ed è per questo che ho portato all’attenzione dei più il caso degli Ultras del Casale. Diverse vicissitudini mi hanno portato ad indagare su questa tifoseria, amicizie comuni mi hanno permesso di poter passare una giornata con loro, poter fare delle interviste e vivere una giornata in perfetta sintonia con quello che è l’essere ultras, ovvero quel sentimento di aggregazione che contraddistingue il movimento.  I Boys Casale 88 e gli Sbamballati Casale tentano, se pur tra mille difficoltà e una repressione sempre maggiore, di continuare questo percorso iniziato verso la fine degli anni 80 e che li porta ancora oggi ad essere protagonisti della loro curva.  Quello che più mi preme far conoscere ai ragazzi che mi ascoltano è un aspetto fondamentale di questa sottocultura giovanile: la solidarietà.
Casale è una città operaia, tristemente nota per la fabbrica dell’Eternit, chiusa nel 1986 ma che continua a mietere decine e decine di vittime ancora oggi.  Davanti a tutto questo gli ultras cosa fanno? Non rimangono certo con le mani in mano. I ragazzi di Casale (cittadina in provincia di Alessandria che conta poco meno di 35.000 abitanti) sono ragazzi perfettamente integrati nel tessuto cittadino locale e si prodigano per dare una mano. Questa loro solidarietà si manifesta con un aiuto concreto. I ricavati delle loro iniziative sono devoluti all’associazione “Pulmino Amico Onlus”: associazione composta da persone che dedicano parte del loro tempo libero, al servizio dei pazienti che devono recarsi presso le strutture Ospedaliere, per essere sottoposti ad esami diagnostici e/o cure e che non possono farlo auto-sufficientemente. Il tutto ovviamente a titolo gratuito. La loro solidarietà non si ferma qua, sono diverse le raccolte fondi fatte per aiutare le persone in difficoltà, un altro esempio concreto è stata la raccolta fondi a favore delle popolazioni terremotate in Abruzzo.

Questi, sono tutti aspetti che non emergono mai quando si parla di Ultras. Io ho preso in analisi il caso degli ultras nerostellati, ma di questi casi ce ne sono molti altri che passano troppo spesso in sordina. Ma questo perché? Gli ultras non sono forse uno dei prodotti di questa società? E allora perché far emergere sempre i lati negativi di questo movimento e non parlare mai dei lati positivi?!
Valerio Marchi scriveva:    
 “ In un video del 1992 sui famigerati <Roghi di Rostock> si assiste all’assalto di un ostello d’immigrati da parte di un centinaio di ragazzi di dodici-quindici anni: tutt’intorno, festoso come fosse al circo, un pubblico di un migliaio di adulti si gode beato lo spettacolo. Chi è il più <naziskin>? Quei ragazzi che mal interpretando il ruolo di <soldati della comunità> traducono in atti e azioni le opinioni di vaste fasce sociali adulte o la benedicente comunità in tutto il suo insieme? Chi è più belva, al Colosseo: il leone gettato affamato nell’arena o i plaudenti Senato e Popolo romani? ” [Teppa – Storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri, Valerio Marchi, Castelvecchi, 1998]


E ora io mi chiedo: chi sono al giorno d’oggi le belve? Questi giovani che portano avanti un loro ideale, se pur per certi versi discutibile, come gli ideali ultras (ma quelli veri, non quelli corrotti dal business) oppure coloro che prima hanno foraggiato e mantenuto in vita questo movimento e ora cercano di affondarlo quando questo non fa più comodo? O peggio ancora chi manipola l’informazione, facendo passare solo gli aspetti che garantiscono buone vendite su giornali e televisioni?


Troppo spesso si parla di questo argomento senza indagare veramente quello che succede sul campo. E questo non è un aspetto secondario. Prima di esprimere un’opinione su un argomento è buona norma documentarsi, e non solo sugli ultras. E’ importante che il tarlo del dubbio si insinui nella nostra mente, è necessario farsi delle domande e andare a ricercarne le risposte.
Concludo ringraziando Michele e tutti gli amici di Casale che mi hanno permesso di passare una giornata con loro e che mi hanno dato l’opportunità di parlare di questa splendida realtà, che se pur tra mille difficoltà, continua a sopravvivere.
Stefano.

Lezione fatta all'Uiversita' di Torino


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